Sopravvissuta ai mesi di luglio e agosto ad Abu Dhabi.
Vorrei un certificato da allegare al mio curriculum, tipo quelli che si rilasciano quando arrivi in cima all’Everest o ti fai tutti i tornanti dello Stelvio in mountain bike.
Senza televisione (poco male), senza radio (e va bene), col frigorifero in palla un giorno sì e l’altro pure, ma che ci importa! a noi zingari digitali basta la connessione Internet e siamo felici! Peccato che anche quella, a un certo punto, abbia iniziato a fare i capricci.
E allora esco dal rifugio con aria condizionata, nell’inferno dei “cinquanta percepiti” e dell’aria calda come quella di un forno a cottura ventilata, a caccia di banda larga.
Neanche il tempo di un’imprecazione e devo rientrare.
In un’altra temeraria sortita estiva mi tocca correre all’inseguimento dell’autobus che aveva saltato la fermata, uno dei rari giorni da scarpa con mezzo maledettissimo tacco.
“So sorry ma’am but… non c’è nessuno a questa fermata, di solito…” sottotitolo: “a’ matta ma stattene a casa con ‘sto caldo”.
Mi rassegno dunque allo stile Twilight, blindata in casa fino al tramonto: non è che dopo l’aria rinfreschi, ma almeno non c’è il sole che ti picchia verticale sulla testa.
Bisogna reagire.
Innanzitutto, dotarsi di connessione Internet funzionante, poi cercare su Internet come ripararsi un frigo no frost con ventola ghiacciata, cercare di fare un po’ di sport (al chiuso, per carità, per fortuna ad Abu Dhabi non sono rare le palestre condominiali), infine farsi forza, cercando di ricordare uno di quegli inverni in pianura padana, quando aspettavi il treno dei pendolari alle 7 del mattino e già pioveva a carogna.
“Ma cosa fai ad Abu Dhabi, ma vieni a Dubai, qui è diverso!”
Ancora con questa storia.
Sono fragile, provata dall’esilio a “cinquanta percepiti”, in grave astinenza da ferie, accetto la sfida. A un patto: non portatemi al Burj Khalifa, e neanche a Dubai Mall che mi viene l’ansia. Convincetemi, portatemi in almeno tre posti che vi fanno dire che a Dubai si sta meglio che ad Abu Dhabi.
Primo posto: spiaggia al tramonto su Palm Jumeirah.
Caruccia se non fosse che sulla sinistra si vedono un paio di gru, sulla destra pure, ma cerco di non focalizzarmi sui dettagli.
“Aaaah una medusaaaa!”
Non sono io a gettare il grido d’allarme. La domanda nasce immediata: come fa una medusa a sopravvivere in un’acqua a temperatura di cottura spaghetti? ma non indugio nella ricerca della risposta: sulla fiducia, schizzo fuori dall’acqua come un proiettile e saluto la Palm.
Secondo posto: in realtà è un tour da Ibn Battuta Mall (l’iper mall a tema che ricorda i viaggi del grande esploratore), a Souk Madinat Jumeirah (suggestivo, non c’è che dire, anche se un po’ mi ricorda Central Market e un po’ Souk Qaryat Al Beri di Abu Dhabi), per finire a Dubai Festival City (scenografico ma… ops è un mall anche questo).
Vedete come funziona a Dubai? Stiamo continuando ad andare in macchina da una scatola all’altra, fuori c’è un’umidità che ti vengono i licheni solo ad abbassare il finestrino… e poi a me pare un po’ più umida di Abu Dhabi (inutile che tiriate tutti fuori gli smartcosi per controllare temperature e percentuali di umidità).
“Allora, cambiato idea?”
Eh no, ma sto sinceramente apprezzando lo sforzo.
La scelta del terzo posto nasce dall’esasperazione dei miei ciceroni.
Visto che ti piacciono “i posti dove c’è la vita reale”, ovvero le strade con gente di tutte le etnie che cammina a piedi, schiamazza, scaracchia e sciabatta, ti sguinzagliamo nel souk di Deira, c’è anche il mercato dell’oro, bancarelle, negozietti, e tanta gente che cammina, ok? Poi si cena affacciati sul creek, tovaglietta di carta su tavolaccio di legno, con i “taxi-boat” che passano, le imbarcazioni modello dhow del Golfo Persico, allestite per le mini-crociere con cena a bordo, luci, musica a palla.
“Alloooraaaa?”
Allora sì, ok, a Dubai c’è di tutto, di più, e forse troppo, ve l’ho detto è troppo “mega” per me.
Torno ad Abu ad aspettare la bella stagione, ancora qualche settimana, un ultimo sforzo.